Durante l’ultima edizione di Vinitaly ho avuto il piacere di incontrare Roberto Pighin, titolare dell’omonima azienda vinicola friulana, un uomo che incarna con schiettezza e passione la cultura del vino del suo territorio.
L’incontro si è trasformato ben presto in un vero e proprio viaggio tra le Grave del Friuli e le colline del Collio, raccontato attraverso le parole e i vini di chi questi luoghi li conosce profondamente.
Azienda Agricola Pighin è un’azienda a conduzione familiare dal 1963, con due tenute distinte: una a Risano, nel cuore delle Friuli Grave DOC, e l’altra a Capriva, nel Collio Goriziano.

Due territori complementari che generano stili diversi ma accomunati da una filosofia di produzione basata sulla precisione, la sostenibilità e la continua ricerca della qualità.
A Risano, su suoli ghiaiosi di origine alluvionale, nascono vini freschi, fruttati e immediati. A Capriva, invece, su colline eoceniche esposte a sud-ovest e accarezzate dalla bora triestina, prendono vita bianchi più strutturati, eleganti e minerali.

La voce del produttore
Parlare con Roberto Pighin significa immergersi in una narrazione appassionata. “Il gallo, simbolo dell’azienda, rappresenta la terra, la vita contadina, la dinamicità. È la nostra medaglia a doppia faccia: se il vino ti piace, lo ricordi. Se no, lo ricordi ancora di più”, racconta sorridendo.
Ma dietro a ogni battuta, si cela un lavoro meticoloso: raccolte all’alba, pressature sottovuoto, fermentazioni controllate, filtrazioni moderne senza uso di prodotti animali. Il tutto per restituire nel calice l’essenza autentica dell’uva e del territorio.

La degustazione: freschezza, sapidità e identità
La degustazione ha messo a confronto le due anime dell’azienda, a partire dal Pinot Grigio – varietà che rappresenta il 50% della produzione – proposto sia nella versione delle Grave che in quella del Collio. Il primo più immediato e beverino, il secondo con una marcia in più in termini di corpo e struttura.
Il Friulano, ancora affettuosamente chiamato “Tocai”, conquista per la sua vena sapida che invoglia al sorso successivo. “Se quando finisci il bicchiere ti viene voglia di riempirlo di nuovo, vuol dire che funziona”, dice Pighin. E ha perfettamente ragione.
La Ribolla Gialla, espressiva e croccante, si è fatta apprezzare per la sua tipicità e il profilo fragrante.
Piacevolmente sorprendente anche lo Chardonnay, che ho trovato di bella verticalità, caratterizzato da una nota fresca e una struttura nitida, senza appesantimenti. Un sorso pulito, armonico, che rispecchia lo stile della casa: moderno, ma sempre legato alla bevibilità e alla tipicità.
Ma è con la Malvasia Istriana, prodotta a Capriva, che ho trovato una vera chicca: delicata, floreale, carezzevole, con una corrispondenza naso-bocca davvero elegante.
Finale in bellezza con il Soreli, blend di Friulano, Ribolla Gialla e una piccola percentuale di Malvasia. Un vino di grande equilibrio e complessità, fermentato in parte in acciaio e in parte in tonneaux da 5 hl, che riesce a coniugare struttura e freschezza con note agrumate, cera d’api, miele e una chiusura mentolata sorprendente. Un bianco da meditazione, ma con leggerezza.

Un messaggio chiaro: affidabilità e bevibilità
Ciò che emerge con forza dall’incontro è il concetto di affidabilità. Pighin non rincorre l’eccellenza fine a sé stessa, ma una costanza qualitativa che dia sicurezza a chi sceglie una bottiglia con il gallo in etichetta.
“Mi sono stufato di sentir parlare di eccellenze. Preferisco parlare di affidabilità”, afferma Roberto. Ed è proprio questa onestà intellettuale, unita a una tecnica sopraffina, a rendere l’esperienza con i vini Pighin tanto appagante.
L’incontro con Roberto Pighin è stato uno di quei momenti che ti ricordano perché ami il vino: per la sua capacità di raccontare territori, storie e persone. E nel caso dei vini Pighin, a raccontare sono due voci – le Grave e il Collio – che, sebbene diverse, cantano all’unisono la stessa armonia fatta di autenticità, eleganza e piacere del bere.
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