L’incontro avuto a Vinitaly 2025 con i rappresentanti di questa storica azienda friulana è stato un viaggio sincero e appassionato nella tradizione e nell’innovazione di una famiglia che ha saputo costruire la propria identità senza mai perdere il legame con la terra.
Fondata alla fine dell’Ottocento da Eugenio Collavini, l’azienda ha attraversato generazioni e guerre, passando da una piccola realtà di commercio vinicolo a un punto di riferimento dell’enologia friulana grazie alla visione di Manlio Collavini.

È lui il pioniere che ha trasformato il Pinot Grigio in una bandiera del territorio e che, per primo, ha creduto nella Ribolla Gialla spumantizzata, al punto da venir soprannominato “Il Signore della Ribolla Gialla”.
Oggi la guida è nelle mani dei figli Giovanni e Luigi, che portano avanti lo spirito di innovazione e precisione con una produzione di circa 1,5 milioni di bottiglie l’anno, metà delle quali esportate in mercati internazionali.

Vigneti tra Collio e Colli Orientali
La sede è a Corno di Rosazzo, nel cuore dei Colli Orientali del Friuli, ma le uve provengono anche dal vicino Collio. La zona è un crocevia geologico e climatico ideale per la viticoltura: pendii, venti di Bora e forti escursioni termiche regalano ai vini freschezza, eleganza e grande personalità. Le marne e le arenarie, la famosa “ponca”, conferiscono mineralità e struttura.

Durante l’incontro, è emersa con forza la volontà di Collavini di lavorare “in vigna”, selezionando terreni, epoche di raccolta e parcelle con un’attenzione quasi artigianale. È lì che, secondo l’azienda, “si decide tutto”, perché “se coltivi bene, poi riesci a portarlo in bottiglia”.
Il Broy: simbolo identitario
Tra le etichette degustate, il protagonista assoluto è stato il Broy, un bianco iconico prodotto a partire dal 2003. È un blend di Friulano, Chardonnay e Sauvignon Blanc, con una piccola parte affinata in barrique di terzo passaggio.

Colpisce per la sua struttura, freschezza e capacità di evolvere nel tempo. Interessante il confronto tra le annate 2020 e 2021: la prima più cremosa e avvolgente, la seconda più verticale e tesa, con un’energia agrumata ben definita.
Il Broy è frutto di una vinificazione accurata, con parziale appassimento in fruttaia, fermentazioni separate e un affinamento lungo che lo rende un vino di rara eleganza. Nonostante l’utilizzo controllato del legno, l’azienda ha scelto negli anni di modulare la percezione del rovere, in risposta alle tendenze di mercato e alla sensibilità dei consumatori.

Il Grigio e la Ribolla: spumanti d’autore
Due bollicine hanno completato la degustazione: Il Grigio, storico Metodo Martinotti nato nel 1971, e la Ribolla Gialla Brut, frutto del Metodo Collavini — una rifermentazione in autoclave orizzontale seguita da affinamento in bottiglia, con risultati sorprendenti per eleganza e finezza.
Sono vini che testimoniano l’arte della spumantizzazione in Friuli, un’arte che Collavini pratica da oltre cinquant’anni, con risultati riconosciuti ben oltre i confini italiani.

Tradizione e tecnologia: il tappo come scelta consapevole
Un passaggio molto interessante è stato dedicato al tema dei tappi. L’azienda utilizza sia il tappo a vite, per i mercati esteri, sia il tappo tecnico DIAM per garantire uniformità e sicurezza nella conservazione. Un approccio tecnico, ma non privo di sensibilità: “Il miglior vino va affidato a chi si fida”, hanno detto. E la coerenza, anche in questo dettaglio, è parte integrante del progetto Collavini.

Collavini non ha bisogno di slogan. Ha bisogno solo del tempo giusto per far maturare le sue bottiglie e del silenzio necessario per lasciar parlare il vino.
A Vinitaly 2025 ho ritrovato un Friuli autentico, fatto di rigore, eleganza e identità. E ho capito che la vera innovazione, oggi, passa attraverso la fedeltà alla terra.
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